DISFORIA DI GENERE: E' NECESSARIO FORNIRE ETICHETTE PER LA NATURA DEL PROPRIO ESSERE?

 DISFORIA DI GENERE: 

E' NECESSARIO FORNIRE ETICHETTE PER LA NATURA DEL PROPRIO ESSERE?

INTRODUZIONE

 

HOMOPHOBIA: paura irrazionale, intolleranza, odio nei confronti delle persone omosessuali da parte della società etero sessista.  

Il termine, coniato dallo psicologo George Weinberg, sta ad indicare, infatti, un insieme di pensieri, idee, opinioni che provocano emozioni quali ansia, paura, disgusto, disagio, rabbia, ostilità nei confronti delle persone omosessuali. Ciò la fa inevitabilmente delineare come una sorta di “fobia operante come un pregiudizio”. 







Ma quali sono le origini dell’omofobia? Si nasce omofobi o si diventa? 


Il termine omofobia, così come il termine transfobia, sono stati a lungo duramente criticati in quanto, in realtà, non hanno nulla a che fare con una fobia: la persona omofoba, infatti, di fronte ad una persona omosessuale non manifesta la stessa reazione che mostrerebbe una persona aracnofobica di fronte a un ragno, e mentre la seconda metterebbe in atto comportamenti che sarebbero certamente caratterizzati da “evitamento-fuga”, la prima potrebbe (purtroppo) affrontare direttamente le persone omosessuali o transessuali attraverso atti ostili e/o violenti (aggressioni, violenza, bullismo e induzione al suicidio) che spesso esprimono emozioni negative alternative alla paura come il disgusto 

Omofobici o transfobici, dunque, non si nasce bensì si diventa: l’origine, infatti, è da individuare più che altro nell’ambito sociale, culturale e istituzionale, ponendo l’omofobia e la transfobia come avversione, pregiudizio, odio e discriminazione (piuttosto che fobia) rispettivamente nei confronti degli omosessuali e dei transessuali 


STRUTTURA DEL PREGIUDIZIO ED INFLUENZA SOCIALE 


Dunque è tangibile e palpabile il pregiudizio che si crea alla base dell’omofobia, ossia un processo che consente di attribuire a persone di orientamento sessuale differente dal proprio, caratteristiche denigratorie ritenute tipiche del gruppo degli omosessuali. Il pregiudizio omofobico può essere plausibilmente interpretato come forma di normatività sociale (Mauceri e Taddei 2015) che si traduce, tra gli omofobici, in ultraconformismo ritualistico. Tale interpretazione è giustificata da alcuni fattori individuati alla base del pregiudizio, costituito in soggetti omofobici adolescenti, rilevato in alcuni studi effettuati: conservatorismo e limitata capacità riflessiva. A questo proposito, diversi studi (Herek 1988; Britton 1990; Borrillo 2001; Lingiardi 2012; Rinaldi 2012), ci hanno consentito di elencare gli elementi che, in maniera più ricorrente, sono risultati associati statisticamente alla formazione del pregiudizio omofobico: 

  • - Genere: una delle associazioni più significative, riscontrate costantemente, è che i soggetti di genere maschile manifestano livelli più elevati di pregiudizio rispetto alle donne; 
  •  - Età ed educazione: l’incertezza identitaria associata all’età adolescenziale, così come un’età avanzata, accompagnata da un basso livello di scolarizzazione, determinano generalmente una maggiore propensione al pregiudizio omofobico; 
  • - Religiosità e conservatorismo di genere: rispetto dei canonici principi legati ai ruoli di genere che, nella configurazione patriarcale della società, vedono la donna confinata nell’ambito domestico-familiare. A ciò si aggiungono gli effetti dal credo religioso che, di solito, implica l’accettazione di dottrine e norme improntate alla conservazione di un ordinamento familiare e morale di tipo patriarcale e tradizionale;  
  • - Autoritarismo: i portatori di pregiudizio manifestano una maggiore adesione ad ideologie politiche improntate su proncipi conservatori, basati sull’autoritarismo; 
  • - Similarità percepita e minacciosità dei gay: gli omosessuali divengono uno stimolo minaccioso alla propria identità e alla gerarchizzazione di genere, che vede l’uomo in una posizione dominante. 
  •  - Interazioni con gay e lesbiche: individui con propensione al pregiudizio spesso non intrattengono alcuna interazione con persone omosessuali, al contrario, invece, maggiori contatti significativi con persone dichiaratamente omosessuali comportano una minore propensione al pregiudizio omofobico.  
  • - Stato civile: essere celibi aumenta la propensione alla discriminazione. 
  •  - Area di residenza: abitare in contesti rurali, o comunque poco urbanizzati, è correlato allo sviluppo del pregiudizio. 

Pertanto, tutti questi presupposti concorrono nella creazione del pregiudizio, in seguito al quale si sviluppa il fenomeno della influenza sociale che non possiamo ignorare, in quanto a causa di questa, generalmente il nostro comportamento all’interno di un gruppo (contesto collettivo) diviene una guida per il comportamento altrui, producendo una influenza “imitativa” che si impone sull’azione degli altri membri (contesto individuale). Ciò getterebbe le basi per un substrato omofobico all’interno del cosiddetto gruppo eterosessuale a cui, invece, i membri autoattribuiscono caratteristiche legate alla “normalità”. Ma chi stabilisce il concetto della “normalità relativa all’orientamento sessuale” se non il fenomeno dell’influenza sociale che si propaga?! 


EDUCAZIONE ALLA DIVERSITA’ 


Ritorna forte, quindi, il tema dell’EDUCAZIONE alla DIVERSITA’, insieme all’importanza di scuola e famiglia, primi luoghi di socializzazione del bambino. 

È indubbio, infatti, che la paura del “diverso” sia qualcosa di radicato nell’animo umano, e la storia lo dimostra bene; ma siamo noi stessi a doverla sradicare, giungendo a quell’inclusione di cui tanto si parla ma così difficile da raggiungere. Perché per raggiungerla, è necessario lavorare sul contesto, determinare un cambiamento culturale: dare origine, dunque, ad un processo, che si riferisce alla globalità delle sfere educativa, sociale e politica 




Ma come educare, quindi, alla diversità? 

Se partiamo dal presupposto che la vita di ciascuno di noi è costantemente caratterizzata dalla presenza dell’altro, appare evidente che, in realtà, ogni giorno ognuno di noi entra in contatto con una serie di soggetti diversi rispetto alla nostra individualità. Speso, però, è difficile rendersi conto di ciò, facendo correre il pensiero sulla diversità alla disabilità, ai differenti orientamenti religiosi, ai differenti orientamenti sessuali. Così come, allo stesso modo, siamo noi adulti in primis a dimenticare che è solo nel confronto con l’altro che si sviluppa e si prende consapevolezza della propria identità.   

La diversità, dunque, come RISORSA e simbolo di autenticità e arricchimento. Ciò in linea con un processo educativo che deve mirare alla salvaguardia dell’autenticità umana nel rispetto della diversità di ciascuno, connotando l’intera esistenza e intendendosi come permanente.   

Per dare atto a tutto ciò, la prima inevitabile azione da compiere è quella di ripartire da noi adulti e, in particolare, dalla famiglia e dalla scuola. Educando al dialogo, all’ascolto, alla tolleranza, al rispetto, all’attenzione, all’accoglienza, alla collaborazione, alla condivisione, così che ciascuno possa relazionarsi con gli altri in maniera autentica in una realtà in cui la diversità è norma. Una realtà in cui però, al contempo, si è attenti e capaci nell’accorgersi in tempo delle varie eventuali difficoltà per poter rispondere in modo inclusivo, nella consapevolezza della diversità dei bisogni, degli interessi, delle attitudini e dei vissuti di ciascuno. 

Il tutto, ovviamente, avendo alla base la cooperazione tra famiglia, scuola e comunità.  


DISFORIA DI GENERE 

La diagnosi da disforia di genere per tutte le fasce di età, all’interno del DSM-V, deve soddisfare la presenza dei seguenti sintomi:  

  • Incongruità marcata tra il sesso di nascita e l’identità di genere percepita (di sesso opposto); 
  • Una durata ≥ 6 mesi; 
  • Compromissione significativa funzionale della qualità di vita del soggetto (affettivo, emotivo, sociale ecc..).  

Il termine disforia di genere fu coniato egli anni ‘60 per indicare questi soggetti che presentavano una marcata discrepanza tra il sesso biologico e l’identità di genere opposto, emergendo stati depressivi a causa della loro estrema sofferenza.  

Il concetto di identità di genere è costruito sulla base di un sistema di credenze improntato dal retaggio culturale ed educativo che viene impartito sin dalla tenera età.  

Stoller definì il concetto di “identità di genere” come lo sviluppo della consapevolezza del bambino di appartenere al sesso maschile o femminile. Tale aspetto si sviluppa entro il primo anno di vita ed è la risultante di tre variabili:  

  • Percezione del bambino dei suoi genitali esterni;  
  • La forza biologica del sesso di appartenenza derivante dalle variabili biologiche determinanti maschili o femminili; 
  • La qualità del legame madre- bambino.  

E’ davvero necessario etichettare la natura del proprio essere?  


All’interno del DSM-V sono raccolti tutti i tipi di disturbo, la loro sintomatologia, i trattamenti terapeutici da applicare, affinché il professionista abbia una linea guida da seguire. Il quesito che dobbiamo porci è: risulta davvero importante etichettare il genere maschile e femminile? Quanto si andrebbe a patologizzare rischiando di perdere la natura del soggetto stesso?  

Freud, appartenete a un contesto storico ancor più arretrato dal punto di vista di flessibilità mentale, aveva già toccato questa tematica, apportando una rivoluzione alla visione di “genere maschile e femminile”. Con la pubblicazione dei tre saggi sulla sessualità, Freud aveva asserito che la differenziazione tra maschio e femmina non è solo improntata da fattori biochimici, ma includono anche fattori ambientali, quali: contesto storico- sociale, familiare, affettivo e relazionale. Secondo il padre della psicoanalisi, la persona oscilla in un continuum tra aspetti maschili e aspetti femminili a prescindere dalla definizione sessuale biochimica. In altri termini: ogni uomo ha in sé aspetti femminili e ogni donna ha in sé aspetti maschili.  







Il lavoro che si fa in analisi con pazienti che enunciano tale conflitto non è il capire se sono più “maschi” o “femmine” ma è comprendere innanzitutto la loro sofferenza legata alla discrepanza: sentirsi di appartenere al sesso opposto stando in un corpo che non si percepisce proprio. E’ come se ci imponessero di indossare dei vestiti che non appartengono al nostro stile, ovvero al nostro modo di essere e di comunicarci al mondo esterno. Come con qualsiasi paziente, il lavoro che si va a districare è la ricerca dell’origine del conflitto e fornire la ristrutturazione di difese disfunzionali in difese funzionali, al fine di fronteggiare lo stato di malessere, sofferenza e angoscia che sopporta il paziente. Diversi studi hanno dimostrato che la “disforia di genere”, nella storia di vita dei pazienti, rintraccia traumi di lutto, abbandono, assenze. Sono aspetti che potremmo ritrovare in un qualsiasi altro paziente ma che manifesta disturbi differenti. Questo è per far comprendere come tutto ciò che affligge il soggetto è il conflitto e che può essere sciolto attraverso un intervento psicoterapico. Si lavora sul far emergere la natura della persona a prescindere dalla sua storia, dalle etichette diagnostiche e culturali.  


ROMA-PRIDE 2022 


In data 11 Giugno 2022, il centro della Capitale d’Italia si è dipinto dei colori dell’arcobaleno in occasione della manifestazione dedicata ai diritti della comunità Lgbtq+. Ci si è mossi da piazza della Repubblica in migliaia di persone (oltre 900 mila, secondo gli organizzatori) intorno alle 16,30, avvalendosi della presenza di personaggi dello spettacolo, quali famosi cantanti e personalità di spicco relative alle istituzioni. Un Pride, emblema manifestazione di gioia ma anche di volontà a contrastare la discriminazione, quello appena trascorso, volto a richiedere il rispetto dei diritti di questa comunità e la creazione di una finestra di dialogo che sia propenso all’inclusione e alla pace. “C’è tanto da fare”, esordisce il primo cittadino di Roma, ebbene allora, diamoci da fare per cancellare l’impronta di un pregiudizio che dilaga a causa di un’influenza sociale malsana. 




Dott.ssa Maria Elena Losito, pedagogista familiare

Dott.ssa Anna Di Gioia, psicologa clinica e terapista ABA

Dott.ssa Angela Amato, psicologa clinica


-AreaPsy-


Bibliografia 


  • ISTITUTO A.T. BECK, in https://www.istitutobeck.com/omofobia-omofobia-interiorizzata 


  • G. PRATI, L. PIETRANTONI, E. SACCINTO, Omofobia ed eterosessismo nei contesti educativi. Le forme, le specificità e le strategie di intervento - RICERCHE DI PEDAGOGIA E DIDATTICA 6,1 - SOCIETÀ E CULTURE IN EDUCAZIONE 


  • F. BATINI, Comprendere la differenza. Verso una pedagogia dell'identità sessuale ARMANDO EDITORE 

  • A. PARENTE, “Una scuola inclusiva. Principi, processi, protagonisti, problematiche, progettazioni” – EDIZIONI DAL SUD 


  • PALLADINO CAMILLO, Roma Pride 2022, via al corteo. Oggi la manifestazione per i diritti Lgbtq+. Gualtieri e Zingaretti in testa al corteo.” CORRIERE DELLA SERA; 


  • SERGIO MAUCERI, La costruzione androcentrica dell’omofobia. Analisi genderoriented dei meccanismi generativi dell’ostilità verso gay e lesbiche in età adolescenziale / The Androcentric Construction of Homophobia: Gender-oriented Analysis of the Generative Mechanisms of Teenage Hostility towards Gay Men and Lesbians - AG ABOUTGENDER, ANNO 2015;  


  • V. ELIA, Come educare alla diversità: suggerimenti didattici”, in https://www.scuolainforma.it/2021/05/16/come-educare-alla-diversita-suggerimenti-didattici.html 


M. LANYADO, A. HORNE "Manuale di psicoterapia dell'infanzia e dell'adolescenza. Approcci psicoanalitici"- FRANCO ANGELI EDITORE (2003)

https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/disturbi-psichiatrici/sessualit%C3%A0-disforia-di-genere-e-parafilie/disforia-di-genere 

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