Il fiocchetto lilla: Disturbi del comportamento alimentare
Il fiocchetto lilla
Disturbi del comportamento alimentare
Il 15 marzo si celebra la Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla, dedicata ai DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare).
Il DSM-V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) fornisce la seguente definizione: “I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione o di comportamenti collegati con l’alimentazione che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale”.
Include le seguenti categorie diagnostiche:
Pica
Disturbo di ruminazione
Disturbo da evitamento/restrizione dell’assunzione di cibo
Anoressia nervosa
Bulimia nervosa
Disturbo da alimentazione incontrollata
Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con specificazione
Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza specificazione
I disturbi della nutrizione e dell'alimentazione in cifre
L’incidenza, stimata, dell’anoressia nervosa è di almeno 8-9 nuovi casi per 100.000 persone in un anno tra le donne, mentre è compresa fra 0,02 e 1,4 nuovi casi per 100.000 persone in un anno, tra gli uomini.
L’incidenza, stimata, della bulimia nervosa è almeno di 12 nuovi casi per 100.000 persone in un anno tra le donne e circa 0,8 nuovi casi per 100.000 persone in un anno tra gli uomini.
Tutti i disturbi dell’alimentazione sono più frequenti nella popolazione femminile che in quella maschile: negli studi condotti su popolazioni cliniche, gli uomini rappresentano il 5-10% di tutti i casi di anoressia nervosa, il 10-15% dei casi di bulimia nervosa.
Anoressia e bulimia si manifestano più spesso tra i 15 e i 19 anni. Alcune osservazioni cliniche recenti hanno segnalato un aumento dei casi a esordio precoce e molto precoce, nei bambini.
Nell’anoressia nervosa, il tasso di remissione è del 20-30% dopo 2-4 anni dall’esordio, 70-80% dopo 8 o più anni. Nel 10-20% dei casi si sviluppa una condizione cronica che persiste per l’intera vita.
(Fonti Ministero della Salute)
L' orientamento psicodinamico sottolinea la continuità tra i diversi disturbi alimentari (Gabbard, 1992; Mc Williams, 1999), che possiamo definire fenomeni ad andamento carsico, in quanto restano sommersi per emergere in particolari fasi della vita, specialmente nell’adolescenza, momento in cui l'identità in costruzione è strettamente legata alla relazione con il corpo che si trasforma.
I soggetti oscillano tra il timore di confondersi con l'altro e la paura di perdere la relazione differenziandosi da esso, questo squilibrio è agito nel comportamento alimentare disadattivo; si può riconoscere in questi disturbi, l'espressione di quello che è stato definito difetto di base, ovvero un sentimento di autosvalutazione che deriva dal mancato riconoscimento dei bisogni nelle relazioni primarie, quelle materne (Selvini-Palazzoli, 1963; Bruch, 1978).
Nella vita del feto la relazione con la madre si instaura attraverso il cibo che diventa simbolo della stessa figura materna e inizia a differenziarsi nell’allattamento e nel nutrimento che continuano a rimanere un'esperienza che possiamo definire fusionale, e che rappresenta la prima relazione con un oggetto inanimato che è altro da sé, in cui si traducono sia un bisogno pulsionale, fisiologico legato al nutrimento che un desiderio di relazione con l'altro, il soggetto che nutre.
L'alimentazione resta un’esperienza psicofisiologica ed interpersonale ricca di collegamenti simbolici per tutta la nostra vita e spesso assume un ruolo strettamente interconnesso con i contenuti profondi della nostra identità.
Fenomeni di dispercezione, alterazione dell'immagine corporea possono provenire appunto da deficit dell’accudimento potenziati dalle immagini di perfezione dei canoni corporei che vengono propinate dai mass-media, quando questo si associa ad una dispercezione e disregolazione interpersonali o del contesto relazionale del soggetto, vi può essere la comparsa dei disturbi di alimentazione e nutrizione.
Il rapporto con il cibo, come sottolineato in precedenza, ha un forte potenziale simbolico e spesso traduce un tentativo di compensazione di una relazione di amore materno non soddisfacente.
Il soggetto bulimico, quindi, consuma l'oggetto esterno che il diventa il cibo, a differenza del comportamento anoressico, che rappresenta più un rifiuto ostinato della compensazione stessa.
Abbiamo sottolineato la prevalenza di questo tipo di disturbi nella popolazione di genere femminile, tuttavia assistiamo all'emergere di un nuovo fenomeno che interessa maggiormente la popolazione maschile, ovvero la vigoressia, che non si esprime solo a livello di comportamenti alimentari patologici, ma anche in un eccesso di dedizione all'attività fisica nella rincorsa di un ideale di bellezza maschile più forte e virile, a cui sono sottesi vissuti di mancanza di autostima e di svalutazione dell'immagine di sé.
Disturbi alimentari e riabilitazione fisica
L’impostazione di un corretto programma di attività fisica può favorire la conservazione dello stato di benessere, e spesso facilita la correzione di alterazioni dell’equilibrio psico-fisico. Per quanto riguarda i disturbi del comportamento alimentare, un corretto programma di attività fisica può produrre effetti riabilitativi quando non curativi.
L’esercizio fisico può dimostrarsi più efficace anche dalla terapia cognitivo-comportamentale nell’attenuare la spinta alla magrezza, sintomo nucleare dei disturbi del comportamento alimentare. Ciò si accompagna ad un miglioramento della struttura corporea, più armonica e tonica, che ulteriormente incrementa il senso di benessere dei pazienti.
Alcune discipline richiedono infatti un particolare peso corporeo, una particolare forma del corpo, ed un allenamento molto estenuante, al fine di ottenere una performance adeguata con il conseguente adattamento della condotta alimentare alle richieste della prestazione sportiva.
La spinta al dimagrimento, e soprattutto la costante pressione a cui sono sottoposti nel ridurre la quota di grassi nella composizione della massa corporea, faciliterebbero in soggetti vulnerabili lo sviluppo di pratiche volte a modificare l’apporto calorico, scatenando lo sviluppo di abitudini alimentari profondamente alterate, anomalie del ciclo mestruale sino all’amenorrea, e un aumentato rischio di osteoporosi e fratture ossee.
La sottovalutazione di queste anomalie cliniche è particolarmente insidiosa nella popolazione giovanile, quando il conseguimento di risultati positivi nello sport può far tralasciare l’impatto che alterazioni dell’equilibrio psico-fisico possono avere su di un corpo il cui sviluppo non è ancora completato.
Particolarmente gravi possono essere le conseguenze di deficit nutrizionali di elementi essenziali, quali vitamine, ioni e minerali. Tra queste pratiche ci sono il digiuno, il vomito, l’uso di pillole dietetiche, lassativi e diuretici.
Circa il 50% delle donne che presentano Disordini Alimentari si allena in maniera eccessiva, talvolta in modo ossessivo, sviluppando una vera e propria dipendenza dall’attività fisica, cercando di dedicare più tempo possibile all’allenamento, anteponendolo alla carriera, alle relazioni interpersonali e alla stessa famiglia.
L’impossibilità di praticare esercizio fisico spesso sfocia in sintomi di privazione come ansia, inquietudine e sbalzi d’umore, finendo ad una restrizione alimentare.
La funzione principale dell’attività fisica nei pazienti con DA è quella di riuscire a controllare il peso e la forma del corpo, ma in un sottogruppo di casi è anche quella di modulare le emozioni, in particolare l’ansia e la rabbia.
L’esercizio fisico eccessivo e compulsivo è un’importante caratteristica clinica, precede in alcuni pazienti, in particolare i maschi, la restrizione dietetica, mantiene la psicopatologia specifica, può determinare danni fisici rilevanti ed interferisce con il recupero del peso nei pazienti sottopeso. Viene definito eccessivo quando la sua durata, frequenza e intensità superano quanto è necessario per ottenere benefici per la salute, ed aumentano il rischio di produrre dei danni fisici, e può essere eseguito in vari modi:
nelle attività giornaliere di routine (es.: camminare eccessivamente, rimanere in piedi al posto di stare seduti);
nelle attività sportive (es.: allenarsi oltre al piano previsto dall’allenatore o andare in palestra più volte in un giorno);
in modo anomalo (es.: fare un numero eccessivo di flessioni o addominali).
Altre conseguenze negative dell’esercizio fisico eccessivo sono l’aumentato rischio di lesioni da sovraccarico e, nei pazienti sottopeso, un aumentato rischio di fratture e complicazioni cardiache.
Dott.ssa Sara E. Petrassi, scienze e tecniche psicologiche
P.T. Fabio de Pinto, personal trainer 1° livello
-AreaPsy-
BIBLIOGRAFIA:
Bruch A., La gabbia d’oro, Feltrinelli, Milano, 1993.
Gabbard G. O., Psichiatria Psicodinamica, Raffaello Cortina, Milano, 2007.
McWilliams N., La diagnosi psicoanalitica, Astrolabio, Roma, 2012.
Riva E., Il mito della perfezione, Mimesis, Milano, 2014.
Selvini-Palazzoli M., L’anoressia mentale, Feltrinelli, Milano 1963.
Fonte: Accademia italiana fitness

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