LA DIVERSITA’ CULTURALE: E SE OSSERVASSIMO INVECE DI VALUTARE?
LA DIVERSITA’ CULTURALE:
E SE OSSERVASSIMO INVECE DI VALUTARE?
“Differenze di abitudini e linguaggi non contano se i nostri intenti sono identici e i nostri cuori aperti.”
J.K. ROWLING
Il termine cultura deriva dal verbo latino colere, "coltivare". Si tratta di un termine davvero particolare, in quanto non c'è univocità degli autori sulla definizione generale di cultura, la quale varia non solo nella traduzione in altre lingue ma anche e a seconda dei periodi storici.
Essa può, dunque, essere intesa in vari modi:
- L’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo;
- L’insieme delle conoscenze relative a una particolare disciplina;
- Il complesso di conoscenze, competenze o credenze proprie di un’età, di una classe o categoria sociale, di un ambiente;
- Il complesso delle istituzioni sociali, politiche ed economiche, delle attività artistiche, delle manifestazioni spirituali e religiose, che caratterizzano la vita di una determinata società in un dato momento storico;
- In etnologia, sociologia e antropologia culturale, l’insieme dei valori, simboli, concezioni, credenze, modelli di comportamento, e anche delle attività materiali, che caratterizzano il modo di vita di un gruppo sociale;
- L’idealizzazione, e nello stesso tempo la scelta consapevole, l’adozione pratica di un sistema di vita, di un costume, di un comportamento, o, anche, l’attribuzione di un particolare valore a determinate concezioni o realtà, l’acquisizione di una sensibilità e coscienza collettiva di fronte a problemi umani e sociali che non possono essere ignorati o trascurati.
In linea di massima, oggi essa è intesa come un sistema di saperi, opinioni, credenze, costumi e comportamenti che caratterizzano un gruppo umano particolare; un'eredità storica che nel suo insieme definisce i rapporti all'interno di quel gruppo sociale e quelli con il mondo esterno.
Ma come si crea tale eredità?
Si tratta, inevitabilmente, di conoscenze e di pratiche acquisite che vengono trasmesse di generazione in generazione, poiché frutto di una lunga storia di rapporto con l'ambiente, attraverso il sistema familiare e sociale all’interno del quale siamo inseriti. Ciò avviene attraverso quel processo che prende il nome di INCULTURAZIONE; un processo che nasce e muore con la persona, durando per l’intero corso della sua esistenza.
Secondo l’antropologo culturale P. K. Bock, ogni persona, nel corso del proprio sviluppo, acquisisce un bagaglio di credenze condivise dalla maggior parte dei membri della sua società attraverso tre tipi di trasmissione culturale: verticale, orizzontale e trasversale:
- La trasmissione culturale verticale è quella sperimentata per prima dall’individuo in quanto avviene in ambito familiare. Già nelle prime fasi di vita, infatti, non solo il bambino scopre che determinati suoi comportamenti suscitano risposte consequenziali da parte della madre, ma anche il modo in cui il bambino viene allevato costituisce il fulcro del processo d’inculturazione. La cultura, quindi, influenza il comportamento di un bambino: ciò, in primo luogo, attraverso i modi in cui si va incontro ai suoi bisogni di cibo, affetto, sonno, secondo dei modelli culturali. Gli adulti che rivestono un ruolo importante nel suo habitat di riferimento plasmano il comportamento del bambino secondo le aspettative della società in cui vivono ed egli impara dove e quando ci si aspetti che mangi, dorma e in che modo può soddisfare il suo desiderio di attività muscolare e di esplorazione o la sua voglia di tepore o protezione.
- Man mano che il bambino cresce aumentano progressivamente anche le sue interazioni sociali in quanto comincia, soprattutto con l’ingresso nella scuola, a relazionarsi anche con i coetanei e nel confronto con essi impara nuove regole comportamentali che devono compiacere le aspettative della comunità, ma al contempo, differenziarsi a seconda del tipo di situazione che gli viene prospettata e alla quale deve, in qualche modo, rispondere. La trasmissione culturale in questo caso è detta orizzontale perché avviene nel gruppo dei pari, cioè tra individui che condividono lo stesso status sociale e l’educazione che viene impartita dalle istituzioni scolastiche.
- La trasmissione trasversale, infine, determina invece il carattere sociale e viene fornita dai mass media che informano su altri modi di vita e dall’interazione con individui di etnie diverse.
Tale trasmissione di generazione in generazione, tuttavia, riguarda anche un altro aspetto davvero importante: la trasmissione di stereotipi e pregiudizi, ossia sentimenti fondati su false generalizzazioni, che possono essere sentiti interiormente o espressi apertamente nei confronti di un individuo o di un intero gruppo. In particolare, mentre gli stereotipi hanno una radice cognitiva e si profilano come le convinzioni che abbiamo sulle caratteristiche di un gruppo che conosciamo solo in maniera generale (facendo riferimento, cioè, a caratteristiche più ampie senza mai rappresentare una realtà totale o ristretta, come se fossero schemi o scorciatoie mentali), i pregiudizi invece possiedono una base emotiva e fanno riferimento alla valutazione negativa di un gruppo.
Infine, tra lo stereotipo e il corrispondente pregiudizio, vi è la discriminazione: essa indica il comportamento e le azioni messi in pratica per esprimere sia lo stereotipo sia il pregiudizio, ovvero quello che ognuno di noi fa in linea con i primi due elementi.
Ma a cosa dobbiamo la nascita di stereotipi, pregiudizi e, di conseguenza, discriminazioni?
Alla paura: la paura del diverso; la paura del non conosciuto. È risaputo, infatti, che da sempre la paura del “diverso” è radicata nell’animo umano, e la storia ben lo dimostra. Questo perché confrontarci con ciò che non conosciamo significa uscire dalla zona di confort, da ciò che è conosciuto e, quindi, controllabile. Ecco, dunque, che nascono gli stereotipi: per categorizzare, rendere prevedibile, inoffensivo, controllare e, dunque, per potersi difendere ed essere preparati. Anche qui, come in tutta la vita degli esseri viventi in generale, ritroviamo alla base una sorta di reazione di attacco o fuga come risposta alla paura dell’altro diverso da noi.
Questo si scontra, però, con la realtà: una realtà in cui, negli ultimi decenni, la società in cui viviamo ha assistito a grandi trasformazioni e cambiamenti in senso multiculturale in seguito soprattutto ai processi migratori, agli scambi tra culture diverse e alla globalizzazione. Ed è proprio in relazione a questa realtà che spesso non ci rendiamo conto o ci dimentichiamo che, in verità, l’umanità tutta è costituita da differenze: eppure alcune di esse sono considerate ‘normali’, sostanziali, necessarie (le diversità di genere, di età, di generazioni, di appartenenze sociali); altre invece, seppur compaiono semplicemente ampliando la visione al macrosistema, diventano oggetto di discriminazioni e pregiudizi; si tratta di quelle relative alle diverse culture, religioni, colore della pelle, orientamento sessuale, aspetto esteriore, capacità mentali. Ma differenze sono da considerare anche quelle che riguardano i nostri modi di pensare, di vedere la realtà, di sentire le emozioni che orientano i nostri comportamenti! Allo stesso modo, ci dimentichiamo che le differenze, in realtà, sono importanti, in quanto ogni differenza rende unico ciascuno di noi, definendone l’identità.
È proprio per questo motivo che siamo noi, e soltanto noi, a dover decidere se tali differenze che incontriamo ogni giorno in noi stessi e negli altri debbano separare o possano unire, aprendo nuovi orizzonti che possono portare solo crescita e arricchimento. Soltanto considerando la diversità come RISORSA e simbolo di autenticità e identità individuale, infatti, sarà possibile dare origine ad un’ottica e una realtà davvero inclusiva, in cui poter dare concretezza a concetti come diversità e integrazione, accoglienza e spazio dell’incontro, dialogo costruttivo.
Proprio per questo nasce, infatti, la pedagogia interculturale, che si pone come obiettivo la riflessione sulla diversità culturale e, più in generale, sul tema dell’alterità, educando a incontrare, accogliere e rapportarsi con le diversità, etniche e culturali. Interculturale, dunque, e non più semplicemente multiculturale: mentre in ottica multiculturale, infatti, viene messa in atto una semplice separazione fra le diverse culture, senza riconoscerle e valorizzarle, in ottica interculturale si pone l’attenzione sulle diversità fra le culture, sull’interazione reciproca e sull’integrazione e inclusione. Importanti, quindi, risultano non solo l’accoglienza all’altro come incontro/scontro democratico e non violento, ma anche la convivenza con le differenze per contribuire allo sviluppo dei processi di globalizzazione, interdipendenza e comunicazione interpersonale.
Tale passaggio da una società multiculturale a una interculturale, tuttavia, non è però automatico, per il semplice motivo che la cultura multiculturale risulta ormai da tempo consolidata e, ad impedire la costruzione di una società disponibile al confronto e allo scambio culturale, vi sono atteggiamenti contradditori e resistenze messe in atto dalla popolazione autoctona (stereotipi e pregiudizi cui facevamo riferimento in precedenza).
Cosa fare, dunque, per dare avvio concretamente a tale vero e proprio cambiamento culturale e per educare alla diversità culturale?
La prima inevitabile azione da compiere è sicuramente quella di RIPARTIRE DA NOI ADULTI e, in particolare, dalla famiglia e dalla scuola. Siamo infatti noi l’origine di quel processo di inculturazione di cui si parlava pocanzi, perché siamo noi il punto di riferimento e l’esempio da seguire per i più piccoli. E proprio la scuola e la famiglia sappiamo bene essere le prime due forme di formazione, crescita e socializzazione per i nostri bambini. Solo in questo modo potremo dare origine a delle coscienze personali che avranno la capacità di discernere tutto ciò che giunge e deriva dalla c.d. trasmissione trasversale.
Sarà quindi necessario:
- Innanzitutto, informarsi e aprirsi all’altro e alla diversità, alla disponibilità a conoscere e a confrontarsi attraverso libri, consigli degli esperti, corsi, ascolto delle testimonianze, esperienze sul campo. Solo in questo modo sapremo come affrontare tali tematiche e come rispondere facendo coincidere il nostro linguaggio verbale con il nostro linguaggio non verbale. I bambini, infatti, ci osservano oltre che ascoltarci!
- Far capire ai bambini che è normale che ci siano differenze tra gli esseri umani e che sono proprio le differenze a renderci unici;
- Parlare in modo chiaro e autentico, con parole semplici che non neghino la diversità, dando importanza non solo alle differenze, ma anche a ciò che le persone hanno in comune;
- Alternare risposte con domande, chiedendo al bambino, per esempio, cosa condivide con l’altro, così da aiutarlo a trovare un modo per riconoscersi e creare vicinanza, facilitando la conoscenza reciproca e la disponibilità allo scambio e all’incontro, secondo un’ottica di cambiamento;
- Educare alla flessibilità cognitiva, aiutando la decostruzione di schemi mentali rigidi, al riconoscimento e all’interazione positiva con la diversità, ed infine alla capacità di convivere con l’incertezza;
- Educare e formare avendo come obiettivo lo sviluppo di competenze mentali (quali capacità di problem solving, consapevolezza della relatività, contestualità e storicità delle culture); competenze relazionali (capacità di confronto e dialogo con l’alterità, interesse per le diversità, capacità di empatia e di messa in discussione); competenze valoriali (solidarietà, coesistenza pacifica e responsabilità);
- Educare al dialogo, all’ascolto, alla tolleranza, al rispetto, all’attenzione, all’accoglienza, alla collaborazione, alla condivisione, così che ciascuno possa relazionarsi con gli altri in maniera autentica in una realtà in cui la diversità è norma. Una realtà in cui però, al contempo, si è attenti e capaci nell’accorgersi in tempo delle varie eventuali difficoltà per poter rispondere in modo inclusivo, nella consapevolezza della diversità dei bisogni, degli interessi, delle attitudini e dei vissuti di ciascuno;
- Attività pratiche di incontro e confronto con altre culture attraverso film o libri, visite a musei, viaggio nelle diverse tradizioni culturali, giochi e tanto altro.
La diversità è fonte di arricchimento e crescita. Insegnare quindi a conoscere e rispettare le differenze, stimolando l’interazione con l’altro, sarà il punto di partenza per un atteggiamento inclusivo e libero dai pregiudizi. Oggi l’intercultura rappresenta il più alto grado di civilizzazione e va perseguita, nella società e nelle scuole, secondo l’approccio che assume la “diversità come normalità”, capace di introdurre l’educazione interculturale come progetto trasversale e interdisciplinare, a scuola e in famiglia e, di conseguenza, nella società tutta.
“Non giudicare sbagliato ciò che non conosci, prendi l'occasione per comprendere.”
PABLO PICASSO
“La saggezza è saper stare con la differenza senza voler eliminare la differenza.”
GREGORY BATESON
Dott.ssa Maria Elena Losito, pedagogista familiare
-AreaPsy-
BIBLIOGRAFIA
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LA MENTE È MERAVIGLIOSA, “Stereotipi e pregiudizi: qual è la differenza?” in https://lamenteemeravigliosa.it/stereotipi-e-pregiudizi-differenza/
REGGIO P., SANTERINI M., “Le competenze interculturali nel lavoro educativo”, CAROCCI EDITORE
GIUSTI M., “Pedagogia interculturale”, EDITORI LATERZA
CAMBI F., “Incontro e dialogo. Prospettive della pedagogia interculturale”, CAROCCI FABER
PIAZZA G., “Diversità e integrazione. Le basi per un’educazione interculturale” in https://nonsolopedagogia.it/diversita-e-integrazione-a-scuola/#La_pedagogia_interculturale



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